Incipit
E’ proprio davanti a te!
La sensazione di sentirmi un alieno in un pianeta sconosciuto oggi era più che mai amplificata dalla parata annuale di Pasqua. Un’allegra e variopinta ricorrenza newyorkese in grado però di congestionare l’intera arteria della Fifth Avenue.
Seduto nel taxi di un certo Nicolaj Breisov osservavo il fiume umano in passeggiata sul marciapiede limitrofo ripensando all’ultima volta in cui anche io avevo partecipato alla sfilata. Tuttavia, pur sforzandomi, non riuscivo a penetrare il sipario nero della mia mente. Forse era stato dieci anni prima, ma non ne ero sicuro e tanto meno ricordavo in compagnia di chi fossi. L’autista mi chiese il permesso di accendere la radio, disintegrando i vani tentativi della mia caccia mnemonica. Con il cenno della testa ed uno scambio di sguardi di intesa riflessi dallo specchietto retrovisore acconsentii. Credo che Nicolaj fosse rassegnato quanto me a restare bloccato nel flusso metallico per un tempo indefinito e di sicuro alleggerire la comune condivisione dell’abitacolo con un po’ di musica avrebbe giovato ai nervi di entrambi.
Sintonizzata la radio sulla frequenza del notiziario delle cinque ascoltai il giornalista annunciare l’esposto del Procuratore distrettuale Sud di New York a carico della Patron. L’autista reagì alla notizia in modo stizzito e borbottando qualcosa fra sé, senza chiedermi il permesso, selezionò una stazione musicale. Tacitamente lo ringraziai. Mal sopportavo i resoconti giornalistici sulle incessanti sciagure economiche/politiche/umane/esistenziali, ed in special modo quando da queste disgrazie in parte avevo tratto profitto. Se da una parte il mio portafoglio si rallegrava allo stesso tempo diminuiva la mia fiducia nel genere umano e di conseguenza aumentava il mio ormai consolidato ed ermetico cinismo. Come venditore al ribasso il mio mestiere consisteva nel trovare l’oscurità celata dietro i conti aziendali delle Corporation quotate in borsa. Tutti avevano un Tallone d’Achille, tutte nessuna escusa. La mia abilità oltre ad Individuare l’increspatura, o il camuffamento perpetuato dall’azienda stava nel seminare nel lungo periodo indicazioni di tale falla, e con pazienza e lungimiranza attendere il crollo del valore azionario per incassarne i profitti. Un lavoro nato prevalentemente per vendetta, e che aveva cambiato il corso della mia esistenza.
L’onda sonora di clacson mi risvegliò dai pensieri di sempre riportandomi al presente. Osservai l’autista stringere il volante trattenendo tutto se stesso dall’unirsi all’urlo di disperazione delle lamiere intorno a noi e decisi di intervenire per scongiurare l’agonia.
“Se preferisce tagliare per la ventitreesima e andare a prendere la decima faccia pure, non importa se allunga la strada, non ho fretta”.
“Grazie!”, disse il tassista emettendo un respiro trattenuto da tempo. “Non sapevo come chiederglielo. Io però l’avverto, facendo così allunghiamo di almeno quaranta minuti, ma in fondo sarebbe lo stesso restando in colonna qui”.
“Faccia pure. Lo capisco. Si senta libero”, dissi.
Appena si creò un varco nella corsia di sinistra il taxi si incanalò per la svolta arrestando la marcia dopo pochi metri al nuovo segnale di stop del semaforo.
Lo sentii esclamare qualcosa in una lingua sconosciuta che tradussi, anche senza averne conoscenza, come un vaffanculo.
Non vedeva l’ora di pigiare l’acceleratore e sparire dall’ingorgo della Pasqua quanto me.
Nell’attesa del segnale di via tornai ad osservare i passati con i loro vivaci e colorati cappelli notando, nell’orda in passeggiata, una ragazza china su una macchina fotografica issata su un cavalletto treppiedi. L’immobilità con cui scrutava dentro il mirino mi fece pensare ad uno scoglio in mezzo ad un fiume. Le persone le sfilavano accanto senza intaccarla, quasi avesse intorno a se uno schermo protettivo. Incuriosito dalla concentrazione con cui era tutt’una al dispositivo ottico cercai di seguire la traiettoria dell’obiettivo ed individuare lo scorcio dello scatto che si apprestava a realizzare. Puntava verso l’incrocio, ma era difficile capire quale o cosa fosse il soggetto. Non c’era nulla di particolare a parte la folla. Ritornai con lo sguardo alla ragazza e vidi che si era spostata in avanti di una decina di passi ed era di nuovo china sulla macchina fotografica di nuovo immobile nel movimento del mondo intorno a lei. L’osservai, dopo pochi secondi, avanzare di qualche passo e posizionare con cura il cavalletto al suolo per poi chinarsi su di esso.
Rapito da quella particolare e lenta processione artistica con cui molto porbabilmente ricercava lo scatto cercai una seconda volta di individuare l’oggetto scenico del suo scatto finché la mia vista non venne catturata da un cartellone promozionale a copertura di un edificio in ristrutturazione. Pubblicizzava una nota marca di profumi e nella gigantografia spiccava un piacente uomo, il quale, con espressione decisamente appagata contemplava dritto a sé un cielo stellato e sofficemente cupo.
“E’ proprio davanti a te”, proclamava lo slogan.
Lessi la frase per ben tre volte prima di rivolgere la domanda a me stesso.
Proprio davanti a te! A me? Mi chiesi.
Che cosa? Cosa c’era davanti a me che non riusciva a farmi sorridere a differenza di quell’uomo?
Complice la melodia e le parole di un brano musicale sconosciuto mi trovai sospeso nell’astronave dell’alieno, lontano dall’oggi, e alla deriva. Lessi ancora lo slogan e abbassai lo sguardo alle mie mani.
Sì. Davanti a me.
Sempre, pensai. Sempre nei miei pensieri, nei miei passi, nel mio perdermi, sempre davanti a me.
Ma a differenza del modello io non ne sorridevo compiaciuto…
Dalla radio il ritornello di quel brano sconosciuto sembrava una preghiera, un desiderio, o anche un augurio, ma forse, più semplicemente una speranza.
Qualcosa di buono… Qualcosa di buono… Qualcosa di buono. (…Something Good – Alt-J)
Il ritmo incalzante e ipnotico allo stesso tempo della melodia ebbe l’effetto di far affiorare in me una sensazione che dapprincipio faticai a riconoscere, fu nel vedere un uomo e una donna passare accanto all’auto mano nella mano e i lori visi contratti in una risata complice che compresi cosa stessi provando in quell’esatto istante. Era malinconica gratitudine verso l’esistenza, e senza una ragione specifica.
Qualcosa di buono… Qualcosa di buono…
Qualcosa di buono per cui esistere…, pensai. Ma lo volevo davvero? Tornare a vivere? Fare pace con il mondo? Purtroppo non avevo nulla davanti a me capace di fomentare anche solo una briciola di speranza se non un passato impossibile a cui far ritorno.
Scattato il segnale di via il tassista rapido prese la svolta per la ventitreesima e liberatosi dallo stillicidio dell’ingorgo fece altrettanto con un bel respiro.
Qualcosa di buono… qualcosa di buono, ripeté per l’ultima volta il ritornello prima di sfumare in un jingle pubblicitario di pneumatici e in me si fece viva la sensazione di aver lasciato qualcosa di importante nel crocevia appena lasciato e inspiegabilmente mi voltai a guardarlo confondersi tra auto e passanti.
Forse avevo lasciato davvero qualcosa di buono dietro di me… ma forse la domanda da porsi era cosa c’era di buono davanti a me?
to be continued! -:)
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Something Good – Alt-J
Testo
Something good, oh something good, oh something good
Oh something good tonight make me forget about you for now
Get high, hit the floor before you go,
Matador, estocado, you’re my blood sport
But something good, oh something good, oh something good
Oh something good tonight make me forget about you for now
Forty eight thousand seeds, please, send rose, for my memories of you,
Now that I’m fully clean, the matador is no more, he’s dragged from view
Oooooo (effect)
Get high, hit the floor before you go,
Matador, estocado, you’re my blood sport,
Forty eight thousand seeds, please, send rose, for my memories of you,
Now that I am clean, the matador is no more, is dragged from view
But something good, oh something good, oh something good
Oh something good tonight made me forget about you for now
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