Capitolo 1
Manovre Traverse
Seduta alla scrivania tergiversavo su quale effetto grafico dare alla bella auto rossa in corsa sulle colline toscane. Il ritocco doveva rendere l’immagine più accattivante tanto da ispirare spavaldi automobilisti dell’avvenire.
Avevo già provato ad opacizzare, ma il risultato aveva reso l’insieme troppo aggressivo e anche un po’ cupo per il concept pubblicitario. Lo slogan non dava molte alternative: E’ la passione a vincere… vivila fino in fondo. Pensai che enfatizzando i colori del tramonto forse sarei riuscita a dare maggior risalto avvicinandomi così all’idea tanto esaltante di sedersi al volante.
“E viviamola fino in fondo questa benedetta passione”, mormorai sottovoce appoggiando la mano sotto al mento a sorreggermi la testa. Meditabonda, cercai di immaginare un sentimento tale.
Vai verso un’orizzonte non minaccioso, ma caldo, rassicurante. Domani è un altro giorno. Il futuro è roseo. Fatti trasportare dalla vita. E altri mille slogan propositivi.
Dal barattolo delle compensazioni presi una rotella di liquirizia addentandone una punta e srotolandola la mangiai centimetro dopo centimetro.
Decisi di concentrarmi sul tramonto, aggiungendo un livello di lavoro, e con un pennello da mille pixel applicai uno sfondo giallo intensificando i toni dell’orizzonte. Attraverso la musica sparata in cuffia provai ad entrare in contatto con l’atmosfera di un futuro radioso. I Boards of Canada avevano la giusta melodia ad evocare destini inconcepibili alla coscienza, ma concepibili all’inconscio, il vero motore dell’animo umano. Ondeggiando sulla sedia con gli occhi chiusi fantasticai di starmene seduta dentro l’auto dei sogni. Il piede sul pedale dell’acceleratore, le mani strette al volante in pelle, un rosso rosato oltre il parabrezza e il cuore pieno di promesse e desideri. Satolla di quell’energia risolutrice del sì può fare, e nulla sulla strada ad ostacolare la libertà nella brama di conquista. Esattamente come una giocatore di football al limite del tempo, carico di adrenalina, che corre con tutto se stesso, schiva, salta, abbatte ostacoli per proteggere il prezioso tesoro stretto al petto, e infine una volta giunto alla meta lo scaraventa a terra alzando poi le braccia al cielo e urla di gioia perché porco cazzo ce l’aveva fatta. Wow che sensazione! Mi si era accapponata la pelle solo ad immaginarlo.
Una mano toccò la mia spalla e riemersi dalla musica e dal sogno catapultandomi nel mondo del non si può fare mai niente senza essere disturbati. Tolsi l’auricolare di destra e alzai lo sguardo.
«Hai finito?», chiese Linda, «Devo mandare tutto in stampa entro mezzogiorno».
Selezionai opacizzare al settanta per cento, accentuai i colori del tramonto applicando un filtro e salvai il file.
Ciao, ciao bell’auto. Fai sognare il mondo!
«Pronto!», dissi, «Carico il file sul server ed è tutto tuo».
«Com’è andato il matrimonio?», chiese raccogliendo una rotella di liquirizia dal mio barattolo.
Raddrizzandomi sulla sedia abbandonai la postura da bradipo e risposi con un sintetico: «Bene!».
Non amavo raccontare i fatti miei al lavoro, e non avrei nemmeno detto nulla riguardo al matrimonio di mia sorella, ma avendo chiesto una settimana di permesso non retribuito alla Vigoretti & Prinetti Concept, luogo in cui le ferie erano ancora ostinatamente e rigorosamente fissate ad agosto, tutti ne erano venuti a conoscenza.
«Hai fatto qualche foto?», chiese.
Scossi la testa. «Personalmente no, aspetto che me le giri mia sorella».
Figurarsi se gli facevo vedere le foto del matrimonio mascherato con l’entourage erotico del Lux Valhalla.
«Poi le voglio vedere, si è sposata a New York vero?»
«Sì», risposi indifferente alla sua curiosità.
Improvvisamente Linda divenne seria e cerea in volto.
«E’ arrivato!», esclamò.
«Chi?», chiesi curiosa voltandomi verso l’ingresso dell’open space dove il suo sguardo si era raggelato.
«Il nuovo direttore!», disse.
Osservai un gruppetto di manager leccaculo attorno a una figura di cui intravidi solo una porzione di spalla.
«Ma Baldani?», chiesi.
«Non lo sai?!», chiese meravigliata strabuzzando gli occhi, «Non hai letto l’email?»
No, non lo avevo fatto. Leggere le emails quel lunedì mattina non era stata tra le mie priorità. Con il jet-lag addosso era già tanto avessi aperto il programma di grafica.
«No!», risposi, «Ho pensato fosse urgente finire la campagna della Bmw e poi aggiornarmi».
Lei annuì pensierosa.
«Certo era prioritario. Comunque, hanno silurato Baldani la scorsa settimana, pare abbia avuto uno screzio con la direzione lo sostituirà Tommaso Prinetti, il figlio del capo supremo».
Sarà uguale a tutti gli altri, pensai, narciso e figlio di papà. Di sicuro fresco di laurea era stato mandato in missione a disintegrare quanto rimaneva di un’azienda che aveva visto i tempi d’oro nel secolo scorso.
«Alle undici ci sarà una presentazione nella sala conferenze».
«Grazie per avermelo detto», mi affrettai a dire, «di sicuro restavo qui».
«Vado a fare le stampe in laboratorio, ci vediamo dopo, tienimi la sedia se arrivi prima di me».
«Ok», e riacciuffata la cuffia tornai alla musica, ma ormai l’atmosfera da sogno era persa e anche la mia predisposizione al viaggio.
Lessi l’email di aggiornamento settimanale in cui erano evidenziati gli step dei progetti in corso e il comunicato interno ai dipendenti relativo alla nomina del nuovo direttore, appunto Tommaso Prinetti. Diedi una scorsa veloce alle poche righe a motivazione della sostituzione e alla breve biografia del soggetto. Si era laureato alla Bocconi di Milano, ovviamente, aveva frequentato diversi Master negli Stati Uniti, ovviamente, aveva lavorato per quattro anni in un’agenzia di comunicazione digital di New York, ovviamente, faceva volontariato, ovviamente, e praticava scherma, ovviamente. Non me ne fregava granché del cambio al vertice. Il mio lavoro era di semplice esecutivista, e non avevo ruoli partecipativi all’agenzia se non rendere migliori le immagini. Inoltre, in cinque anni di onorato servizio, avevo visto battaglioni di stagisti, dirigenti e addetti alle pulizie ruotare a ciclo continuo. Sapevo con certezza che tempo un anno l’agenzia avrebbe chiuso o al massimo ceduta a qualche colosso smembra azienda e di questo non me ne preoccupavo minimamente. Avevo un progetto in corso, e soprattutto meno di un anno per decidere se tornare a vivere New York e accettare gli accordi di successione dettati da mio padre. Qualsiasi destino aspettasse l’agenzia non avrebbe influito sulla mia vita.
All’improvviso dalla chat aziendale apparve un messaggio di Linda.
Linda Rovesi: Giorgietti ha visto l’immagine finale dice di rendere l’orizzonte meno intenso, è troppo da porno… ;-(
Puff! Sorrisi amara. Inutile cercare confronto con chi guidava uno pseudo suv dei poveri. Non si poteva fare nulla con la pochezza del Project Manager Luxury, un limitato negli orizzonti e di certo non era la passione a spingerlo bensì la taccagneria. Come sempre obbedii e risposi con un OK seguito da emotion di un pollice alzato che sottointendeva. “Che si fotta!”.
Alle undici mi spostai in sala conferenza dove raggiunsi Linda accomodandomi nella sedia tenuta in caldo per me dalla sua Moleskina. In attesa del team di dirigenti mi trastullai i pensieri con il cellulare, come i restanti presenti, a parte Linda intenta a scarabocchiare piccoli disegni floreali sul suo quadernetto.
«Buongiorno a tutti», non alzai nemmeno lo sguardo dallo schermo del telefono. Ero impegnata in una intensa chat con mia sorella in aggiornamento dalle Hawaii dove si trovava in luna di miele, «sono Tommaso Prinetti e da oggi entro a far parte del team della Vigoretti & Prinetti Concept, sono molto felice…… bla bla bla».
Chiusa la chat spostai i miei interessi sulla pagina di facebook, avviai un video postato da un vecchio compagno di università, e osservai una tizia coreana scivolare sdraiata reggendosi in equilibrio su dei pattini a rotella sotto cinquanta auto. Sconvolgente l’elasticità dell’acrobazia.
«Mi piacerebbe….. bla bla bla… avere contatto con ognuno di voi per conoscerci e intraprendere insieme un nuovo viaggio che porti a… bla bla bla».
Con la coda dell’occhio guardai il display del mio vicino sintonizzato sul video di un tettona su una giostra da luna park e poi controllai a che punto fosse il disegno di Linda. Aveva abbandonato i fiori per la silhouette di un uomo. «Pertanto il nuovo motto dell’agenzia sarà: se smetti di sognare allora stai dormendo!», e a quel punto cercai di dare un volto a chi aveva appena pronunciato quella cazzata madornale.
Purtroppo non ne ebbi il tempo poiché l’intera platea si alzò in piedi per un rapido applauso disperdendosi due secondi dopo verso l’uscita in direzione della sala mensa per un buffet di benvenuto gentilmente offerto dalla dirigenza.
«Mi sembra un tipo sveglio!», affermò Linda.
«Sì è vero», risposi dubbiosa. Non avevo seguito nulla del discorso. Come ho già detto, in cinque anni di servizio alla Vigoretti & Prinetti Concept avevo presenziato ad almeno dieci discorsi identici di direttori meteore e tutti, bene o male, avevano avuto come comun denominatore la stessa propositività che in un anno si era dimostrata essere l’esatto opposto, ovvero sterilità e improduttività.
In fila verso l’uscita dalla sala entrò al cellulare la chiamata di Pamela, la mia coinquilina.
«Ci vediamo in mensa», dissi a Linda spostandomi dalla coda, «rispondo al telefono e poi ti raggiungo».
«Pronto?».
«Ciao Sabrina».
«Che succede?», chiesi sorpresa che mi chiamasse sul lavoro.
«Mi ha telefonato il padrone di casa dicendomi che siamo in ritardo con l’affitto».
«Che palle! Sempre la stessa storia. Ho fatto il bonifico ieri, lo sa che deve aspettare un paio di giorni per vedere l’accredito sul suo conto».
«E’ quello che gli ho detto anche io, ma è un fottuto rompicoglioni».
«Sì, lo so, senti adesso gli mando la copia della disposizione per email».
«Fallo subito».
«Ovvio. Dove sei?».
«Sono qui a Lecco, hanno appena consegnato i frustini, ma sono una cinesata orripilante, li ho già rispediti indietro. Mi hanno assicurato di consegnare quelli deluxe per domani. A che ora arrivi stasera?».
«Achille passa a prendermi alle cinque, traffico permettendo saremo alla villa per le sei e mezza».
«Va bene, a dopo, baci testolina».
«Ciao, a dopo».
Pamela era la mia migliore amica e coinquilina. Ci eravamo conosciute ad un incontro di Kink per errore. Ero da pochi mesi a Milano e non conoscendo nessuno una sera avevo deciso di partecipare ad un meetup di graphic design organizzato in un locale in centro tanto per conoscere persone dell’ambiente e fondamentalmente per racimolare qualche contatto per un possibile lavoro, ma all’ingresso la cameriera mi aveva orientato al tavolo sbagliato. Avevo subito notato la stranezza dei personaggi già accomodati, ma non gli avevo dato peso. I creativi o presunti tali spesso peccano di egocentrismo. Mi ero presentata ed un coro di benvenuto e occhi a radiografarmi per intero mi aveva accolto. Dopo circa dieci minuti alla domanda se fossi una top, o bottom, o slave, o mistress o clinical avevo capito di essere al tavolo sbagliato. Tra i commensali avevo notato anche Pamela seduta accanto ad un uomo di mezza età che mi ricordava Edward mani di forbice. Mi ero scusata per l’errore e avevo poi raggiunto il tavolo giusto dove dopo un succo di frutta e altri dieci minuti avevo abbandonato per la stessa ragione della precedente. Alla fine ogni luogo di incontro, qualsiasi argomento trattasse, anche il più intellettuale, era solo un’occasione per rimediare una scopata o l’amore della propria vita. Avevo poi incrociato Pamela in metropolitana e ci eravamo trovate a chiacchierare sulla banchina d’attesa e nel tragitto fino alla sua fermata avevo scoperto che il motivo della sua partecipazione al Next generetion of the Kink era per scrivere la tesi di laurea che aveva come argomento il mondo variopinto del Bsdm. Stava cercando un Master che l’aiutasse a sviluppare la psicologia del dominatore, ma dopo l’esperienza sembrava intenzionata a cambiare argomento di laurea. I Dominatori incontrati le avevano dato l’idea di essere solo degli sfigati galattici e che applicavano la pratica prevalentemente per compensare il micropenismo. Alla fine ci eravamo scambiate il numero di telefono e tra una chat e l’altra e cazzate varie, più o meno due mesi dopo mi aveva contattato per sapere se fossi interessata a subentrare alla sua coinquilina o se conoscessi qualcuno. E così armata del mio bagaglio ero subentrata nella stanza mansardata. Pamela aveva conseguito poi la laurea in sessuologia e psicologia più che altro per risolvere la sua anorgasmia. La risoluzione al problema e anche la svolta alla sua carriera erano arrivate un paio di anni dopo attraverso Achille. Un porno attore nel tempo libero e igienista dentale di giorno rivoltosi a lei per un problema di disfunzione erettile dovuto allo stress da lavoro. Il caso clinico si era risolto con una decina di sedute e prevalentemente perché Pamela aveva intuito come le capacità in campo attoriale di Achille unite a quelle di professionista in campo medico fossero, nel loro insieme, un mix perfetto per risolvere la sua anorgasmia e non solo la sua… Da un anno infatti avevano unito la loro sinergia in servizi ad personam di Terapia Mansionale Integrata Applicata, nel senso che anziché prescrivere esercizi o analisi visivo emotivo per superare intoppi sessuali, Achille si prestava personalmente accompagnando le pazienti con pratiche sessuali dedicate. Per quanto assurdo, le clienti non mancavano, e i feedback positivi avevano incrementato il loro affari. Curavano con la pratica.
Girai l’email al padrone di casa e lenta lenta affrontai le scale, che preferivo sempre all’ascensore di cui avevo il terrore.
Al quarto piano un uomo spalancò la porta sull’androne delle scale e senza degnarmi di un sguardo o scusarsi di tagliarmi la strada con indifferenza e passo spedito si affrettò a salire distanziandomi di dieci gradini in due secondi.
Raggiunta la sala mensa mi arrestai sulla soglia in cerca di Linda che individuai a parlare con il coglione di Giorgietti. Senza pensarci un secondo di più preferii prodigarmi a riempire un piattino di… bella domanda.
Di niente, odiavo il cibo dei buffet, padroneggiavano sempre e solo quantità industriali di salumi italiani, pasta e pietanze unte. Da vegetariana mi era sempre difficile fare delle scelte salutiste. Alla fine cadevo sempre su pezzi di focaccia secca e mozzarelline tristi e ugualmente asciutte.
In attesa di impossessarmi del cucchiaio di portata per servirmi delle rondelle di zucchina unte avvertii il profumo di una colonia soppesare l’aria intorno alla mia persona. Una fragranza nota che mi disorientò non poco. Stavo per girarmi, curiosa di vedere chi fosse l’uomo immerso nel balsamo, ma arrestai ogni intenzione appena misi a fuoco una mano serpeggiare sotto ai miei occhi.
Un anello al pollice, nocche dure, pelle liscia, dita affusolate, robuste, un polso, un Rolex e un tatuaggio appena visibile sotto al cinturino. Un tentacolo erotico che meno di una settimana prima si era avventurato in mezzo alle mie gambe.
Porca puttana!
Abbandonai l’idea di imbrattare d’olio il mio piatto e spostandomi alla mia destra scivolai cheta cheta in fondo alla stanza. Al riparo dietro ai colleghi osservai l’uomo al buffet riempirsi il piatto di stuzzichini.
Era il tizio pedinato poco prima per le scale, e senza quasi ombra di dubbio l’uomo della nottata di follia al Lux Valhalla di New York incontrato e conosciuto in senso biblico in occasione dell’addio al nubilato di mia sorella, o almeno lo sembrava, ma non ne ero certa fino in fondo, o comunque quante cazzo di possibilità esistevano che a seimila chilometri di distanza lo rincontrassi. Inoltre l’incertezza era data dal fatto che nonostante avessi visto tutto del suo corpo non avevo visto il suo viso per via della maschera che entrambi indossavamo quella sera. Tuttavia l’anello e il tatuaggio e quel profumo non lasciavano molti dubbi al riguardo. Dio Santo! Se potevo averne uno a livello mnemonico il mio clitoride non ne provava alcuno in tal senso appena lo vidi addentare una tartina di salmone.
«Sei arrivata, finalmente!», disse Linda accanto insieme a Giorgietti e la Valeria Sabatini, la darkona.
Ingoiai una mozzarellina seguendo con lo sguardo Jack, così aveva detto di chiamarsi. Ma chi era e cosa ci faceva nella mia agenzia a Milano?
Il cellulare vibrò nella tasca posteriore dei miei jeans e recuperato mi persi a leggere un lungo messaggio di mia sorella in cui descriveva entusiasta l’esperienza di bungee jumpie appena fatta. Stavo per scriverle del fottitore australiano, questo il soprannome affibbiatogli con lei all’indomani della notte di sesso, quando Linda mi invitò a fare un passo indietro stringendomi, o meglio stritolandomi, il braccio.
«Ah Giorgietti le presento Prinetti il nuovo direttore», disse Marchesi mentre il profumo della colonia fluttuava nell’aria stordendomi di nuovo nei ricordi.
«Giorgietti è il Project Manager area Luxury, sta seguendo lui le campagne di Bmw e Lexus».
Alzai lo sguardo e tra le figure di spicco dell’azienda osservai il velato seduttore della notte di follia stringere la mano al coglione di Giorgietti.
«Buongiorno è un piacere conoscerla», disse quest’ultimo.
«Dammi pure del tu, il piacere è mio, spero di fare una chiacchierata quanto prima. Preparerò un’agenda al più presto, ho diverse idee da mettere in campo», disse Prinetti, alias Jack il fottitore australiano in un perfetto italiano madrelingua.
«Ottimo sono disponibile fin da subito», disse Giorgietti leccaculo.
Il mio cellulare vibrava compulsivo dalla raffica di fotografie spedite a profusione da mia sorella. Impietrita guardai meglio Tommaso Prinetti di profilo riconoscendo con assoluta certezza Jack. La linea carnosa delle sue labbra, la mascella, la barba lieve e il ricordo del suo respiro sulla mia guancia mi rizzarono i capezzoli. Parlava italiano in modo sciolto, ovviamente perché era italiano e non australiano come invece si era presentato. E secondo dopo secondo mi resi conto della menzogna e dell’assurda coincidenza. Trattenni una risata amara mordendomi le labbra imbarazzata e allo steso tempo sentendomi beffata.
«Le presento Linda Rovesi, senior graphic production , lei è Sabrina Golightly senior graphic developer, lei invece è Valeria Sabatini junior graphic developer», disse Giorgietti indicandoci una per una.
«Piacere Rovesi», proferì Linda porgendo la mano che lui fasciò con la sua e quell’anello. Strinse anche quella della darkona e l’osservai attendere un saluto consono alla situazione da parte mia. Ed esitai. I suoi occhi grigio verdi si socchiusero qualche istante sotto un paio di sopracciglia che non curvarono per nulla, ma si inclinarono sotto un punto di domanda invisibile secondo dopo secondo.
Oh merda!
Ero lì, con un cellulare in una mano e un piattino con due mozzarelle e un trancetto di focaccia nell’altra.
Mi palpitava il cuore e la fronte e il collo cominciavano a sudare freddo. Non sapevo se mi avesse riconosciuto, ma non riuscivo a costringermi ad avvicinarmi o a metter via il telefono per fare l’unica cosa che si aspettavano i presenti. Stringergli la mano, quella bellissima mano.
Distolsi lo sguardo da lui sbattendo le palpebre lentamente e con forza per guardarmi le mani occupate.
Cosa cazzo dovevo fare?
«Piacere», disse lui.
Mi limitai ad annuire con un sorriso, almeno credo, forse più una smorfia e soppesando il piatto e il cellulare implicitamente mi scusai della mia negligenza.
«Buon lavoro», disse allontanandosi con Marchesi e i seguaci manager al seguito. Sollevata respirai.
Appoggiai nelle mani di Linda il mio piatto e andai a prendere qualcosa da bere chiedendomi lungo il tragitto se mi avesse riconosciuto. Non mi era sembrato, tra l’altro, nell’abbigliamento di quel mattino, non assomigliavo per niente alla zoccola super agghindata della serata di follia, e la maschera sul viso aveva decisamente alterato i miei connotati come del resto i suoi. Era del tutto impossibile riconoscermi dietro un paio di jeans, una maglietta, e un paio di sneaker. Non ero certo la Femme Fatal di quella notte.
Ma neppure lui sembrava il mascalzone latino che avevo incontrato e che avevo identificato da due dettagli.
Davanti al cameriere delle bevande vagavo con lo sguardo dalla caraffa del succo di frutta all’arancia a quello alla pesca, indecisa, ma soprattutto in preda al timore che potesse avermi riconosciuto.
No, non poteva. Non a seimila chilometri di distanza, a Milano, in una tenuta anonima da giovane hipster. Improbabile. E poi anche se fosse? Dove stava il problema? Eravamo due adulti consenzienti. No?
Presi un bel respiro, raddrizzai la schiena e ordinai al ragazzo del catering di servirmi un bicchiere di succo alla pesca. In attesa mi trovai ancora una volta a irrigidirmi nello scorgere la mano di Prinetti/Jack il fottitore australiano prendere un flûte di vino bianco sotto i miei occhi.
«Golightly…», disse, «Che origini ha?».
Alzai gli occhi, e mi venne la pelle d’oca nel rivedere i suoi intensi. Mi fissava, calmo e attento, in attesa di una risposta.
Deglutii, anche se non c’era alcuna traccia di saliva, e abbozzai un sorriso tremolante.
«Scozzese, mio padre», risposi mentendo, sperando che il vuoto nella sua memoria fosse permanente.
Indossavo una maschera, avevo una tulle da sposina tra i capelli, vestita da zoccola, una maschera, quindi la sua immagine di una certa Elizabeth del Montana, poteva restare offuscata.
Mi guardò di traverso, studiandomi, e desiderai sprofondare nel buco nero scoperto da qualche mese dalla Nasa.
«Da quanto lavori alla Vigoretti & Prinetti Concept?», chiese.
«Cinque anni», risposi.
Sollevò le sopracciglia, e gli angoli della bocca si incurvarono.
«Allora sei brava», disse con una lontana nota ironica.
Stavo per chiedergli il senso dell’affermazione cercando di non sembrare offesa. Era noto a tutti che un grafico dopo cinque anni in una agenzia pubblicitaria o saliva di livello oppure era un poco di buono, e non lo ero. Cioè lo ero, ma solo per quella agenzia. Facevo davvero il minimo indispensabile. Avevo accettato il lavoro per lo stipendio di fine mese e per una forma di ripicca verso Tyler, il mio esecutore testamentario. Avrei potuto fare a meno di lavorare fino alla fine dei miei giorni se il mio patrimonio non fosse stato vincolato da lui e dalla mia cocciutaggine.
«Per la Vigoretti & Prinetti Concept direi di sì», risposi.
Ed era la verità. Anche essendo la miglior grafica del pianeta in quell’agenzia non ci sarebbe stato alcun modo di brillare.
Il cameriere mi porse il bicchiere di succo che afferrai rapida portandolo alla bocca per berlo. Lo notai incurvare nuovamente le sopracciglia e guardarmi come se stesse tentando di capire qualcosa. Ma poi il suo sguardo si allontanò dal mio viso spostandosi al mio braccio e infine scese lungo il corpo, come se cercasse di collegare chi fossi in quel momento con la donna che si era sollazzato appesa a un muro pochi giorni prima, poi scosse la testa sovrappensiero.
«Ci vediamo Golightly, presto incontrerò tutti gli impiegati, quattro chiacchiere per conoscerci e parlare dei miglioramenti da fare insieme».
«Va bene», risposi riportando il bicchiere alle labbra e solo allora mi resi conto di avere un indizio indelebile addosso ed era sempre stato sotto il suo sguardo. Il tatuaggio delle rondini al mio braccio.
Raggiunsi spedita Linda intenta a parlottare con le ragazze dell’area digital. Al sicuro, in un angolo, schermata dai presenti lo cercai tra la platea stando attenta che non si accorgesse delle mie attenzioni.
«E’ insieme a una influencer», disse Veronica Lancetti, front end developer area digital.
«Quale?», chiese Linda.
«Non ricordo il nome, una delle tante, quella con il culo rifatto».
«Non dici nulla così, ce l’hanno tutte rifatto, influencer di cosa?», chiese la darkona.
«Ma roba di non lo so, scrive cazzate in un blog su come essere consapevoli, scienze olistiche, diete, consigli sugli acquisti, non lo so, trucchi, tuttologia e posta foto del suo culo notte e giorno», tagliò corto Veronica.
«Di chi parlate?», chiesi intromettendomi.
«Di Prinetti, è insieme a una influencer», disse Linda.
Ah però!
La notizia in parte mi rallegrò, ma solo in parte, perché nei giorni successivi a quell’assurda nottata al sex club Lux Valhalla avevo pensato a lui, più di quanto volessi ammettere.
Tornai a cercalo tra i presenti e lo vidi gettarmi un’occhiata vaga e incerta. Per il momento non sembrava avermi riconosciuto e sperai che il vuoto persistesse.
© – Sara Tessa – Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Sara Tessa.